Alessandro de’ Medici giocava a Calcio. È risaputo che, il primo duca di Firenze, aveva predilezione per detto gioco e che partecipasse con grande entusiasmo alle manifestazioni e alle feste nelle quali il Calcio era protagonista insieme ad altri Palii e Giostre.
Sappiamo che, nell’ambito dei festeggiamenti fiorentini in onore di Margherita d’Austria ˗ promessa sposa di Alessandro e al tempo dodicenne, il cui matrimonio avvenne a Napoli il 13 giugno 1536 ˗ già ad aprile di quell’anno, oltre ad altre feste, si giocò al Calcio. A capo dell’organizzazione di tutti i festeggiamenti vi fu Filippo Strozzi, che “faceva molte cose da giovani e non convenienti all’età nella quale egli era, per compiacere al duca, o pure perché si dilettasi di simili cose”. (1)
Il duca aveva un proprio principio nel giocare al Calcio, ne era uno dei più assidui partecipanti e il suo atteggiamento paritario, pur essendo duca, giovava alle partite perché:
“Non ha per male giuocando al calcio esser gettato per terra.” (2)
È così veniamo a conoscenza che, il primo duca di Firenze Alessandro de’ Medici, aveva piacere di giocare al Calcio. Un modo empatico per dimostrare ai “sudditi”, da poco tempo usciti da una repubblica e ora sotto il primo ducato, di essere vicino ai fiorentini. Era sua intenzione, infatti, cercare di trovare un contatto benevolo con il popolo. Voleva essere amato e onorato:
“Mescolandosi con i suoi giovani cittadini non voleva nel giuoco che gli portassero altro rispetto che come loro eguale fosse stato”. (3)
Alessandro Ceccheregli (o Ceccherelli) ce lo racconta in un volume edito da Giunti nel 1565, portandoci un esempio eclatante di come il duca fosse un grande appassionato del gioco e di come volesse praticarlo senza che gli avversari e i compagni di squadra avessero nei suoi confronti una sorta di riverenza; non voleva essere agevolato e si preoccupava prima di ogni partita di essere considerato come un giocatore alla pari. Come quel giorno che, giocando al Calcio e trovandosi in mezzo a una baruffa, ma proseguendo il gioco dopo che la palla era già stata battuta, si scontrò con un giovane avversario e “placcandolo” lo gettò a terra. Di seguito alla caduta il duca Alessandro gli tese subito la mano per farlo rialzare, dimostrando una “sportività” innata e auspicando che, nell’altro, non vi fosse nessun rancore per averlo atterrato.
Nel frattempo, il gioco continuò e un altro giovane avversario, visto il duca, lo sollevò e lo gettò a terra, una tipica azione che ritroviamo ancora oggi nel gioco dei nostri tempi. Nella caduta il duca batté violentemente la faccia sul suolo e “percosse il naso di tal forte che subito il sangue schizzò fuori”. (4)
La situazione non creò nessun tipo di problema. Il calciante avversario del duca si preoccupò subito di scusarsi, aveva capito che il sangue uscito dal naso poteva aver procurato un danno apparentemente grave, visto il sangue fuoriuscito.
Ma Alessandro de’ Medici rispose subito con un filo di voce che non voleva essere considerato superiore a nessuno di coloro che si trovavano in campo, che avrebbe voluto essere considerato al pari di tutti gli altri giocatori e di non preoccuparsi per l’incidente che gli era capitato perché, se adesso era successo a lui, un’altra volta avrebbe potuto essere a sfavore degli altri. Si alzò subito in piedi e, dopo aver seguito l’azione della caccia, andò nell’angolo del campo per lavarsi il viso ritornando a giocare e dimostrando, ancora una volta, di non averne avuto a male, “ma accarezzando colui fece segno che gli fosse stato grato l’essere a tutti in tal gioco”. (5)
Il racconto di Ceccherelli sui fatti che vedevano il duca Alessandro cercare di trovare un contatto con la popolazione, in particolare nel gioco del Calcio, ci fornisce notizia di come, negli anni del suo dominio, pur avendo assunto un ruolo importante ˗ duca della Repubblica fiorentina e poi duca di Firenze ˗ egli cercasse di trovare in ambito pubblico un modo per dimostrare che il gioco, e forse anche il campo di gioco, fosse un momento di condivisione delle regole, che queste fossero uguali per tutti coloro che vi si trovassero coinvolti, e che non vi erano distinzioni di ceto sociale, né di popolo e nobiltà, né di rango, né di classi sociali.
Credo sia proprio questo il fascino del Calcio in Livrea, giocato e osannato dai nobili e dal popolo, dalla borghesia e dal popolo minuto. L’occasione dei festeggiamenti, ma anche d giocare il Calcio a carnevale, coinvolgeva tutti i fiorentini che volevano dimostrare ai visitatori, ma soprattutto a sé stessi, che il Calcio era una gioia e una tradizione che rappresentava il loro spirito, combattivo e leale, senza rancore verso gli avversari che si ritrovavano poi a bere e mangiare tutti insieme.
Note:
1 – Bernardo Segni, Storie fiorentine, edizione stampata da Giuseppe Vanni in borgo de Greci, Firenze, 1835, pag. 73
2 – Alessandro Ceccherelli o Ceccheregli, Delle azzioni, et sentenze del signor Alessandro de’ Medici primo Duca di Firenze, ristampa, Giunti, 1580, pag. 42
3 – ivi, pag. 43
4 – ivi, pag. 43
5 – ivi, pag. 43,44